di Silvia Ugolotti, testo e foto
C’era una volta una terra di campagne, castelli e cose buone. Si potrebbe iniziare così. Ma questa storia ha a che fare con la nebbia, bianca e impalpabile, ogni contorno incerto e i passi miopi.
«Non si può capire la nebbia, se non si è nati nella nebbia», sorride Massimo Spigaroli, chef stellato Michelin, nato e cresciuto sulle rive del Po a Polesine Parmense. «Davanti al camino, con un taccuino in mano e fuori dalla finestra un panorama lattiginoso – dice - arrivano i pensieri e le ricette migliori. È una coperta morbida che avvolge ogni cosa, un muro silenzioso». Nei paesi lungo il Po ciascuno ha la propria immagine per descrivere la nebbia, affinata dall’abitudine a vivere compagni di un sipario di goccioline fredde che non precipita ma sale.
La Bassa parmense – cuore padano che produce l’areosol della pianura – è una terra grassa e piatta, fatta di piccoli paesi e tradizioni contadine. Qui, tra vecchi casali e argini come muraglie a difendere dalle piene del Grande Fiume “ogni cosa sa di favola”, diceva Giovannino Guareschi. Sono dodici comuni, otto a ovest e quattro a est, a comporre un mondo piccolo, ma di fascino extra large. L’ha immortalato Guareschi nei suoi libri, l’ha fotografato Michael Kenna in una dimensione quasi onirica e l’ha raccontato Cesare Zavattini nelle sue sequenze cinematografiche. È il luogo delle grandi affabulazioni e dei sapori dell’amarcord, da percorrere on the road, lentamente, lasciandosi avvolgere da quel vapore algido che condiziona umori e sapori.
Convivialità e genuinità, sono parole d’ordine del cibo a chilometro zero, che da anni ormai rimbalza dall’Italia alla Scandinavia passando per gli States. Valori che in Italia sono da sempre, e per fortuna, alimentati e custoditi. Famosa per i suoi prodotti, i vini allegri e le grandi tavolate, Parma e la sua provincia sono tempio e laboratorio della cucina autentica. Epicentro della produzione del Re dei Salumi è il triangolo d’oro - pardon rosa – della Bassa parmense che si estende tra Zibello, Polesine e Roccabianca. Proprio qui, dove nebbia e aria umida vengono dosati ad arte come fossero ingredienti, nasce il Culatello di Zibello Dop. Un prodotto di alta salumeria che la sapienza di un bravo norcino rende unico, insieme al giusto microclima in cantina e a maiali di razza antica.
Tempi lunghi di lavorazione, materia prima di qualità e un severo disciplinare: «la carne viene massaggiata con vino, sale marino, pepe nero, aglio e dopo qualche giorno insaccata in una vescica di maiale. Si lega il prodotto e si appende in cantina», spiega Massimo Spigaroli che stagiona i culatelli nelle cantine costruite nel 1320 dai marchesi Pallavicino. La sua esperienza ha radici lontane: il bisnonno era norcino e agricoltore nel podere Plantador di Giuseppe Verdi. Un talento che di generazione in generazione è arrivato fino a lui.
«Un culatello di qualità si riconosce dalla massa di carne rosso rubino e da una noce di grasso che va a dare fragranza e morbidezza a tutto il resto» continua. C'è chi lo utilizza in cucina in vari modi ma la sua versione migliore è in purezza: «la fetta va mangiata intera insieme a pane morbido e mollicoso. Quando il culatello è più stagionato, un ricciolo di burro non guasta».
Il miracolo si compie al palato, solo seguendo un preciso galateo: «una volta aperto (non prima di 16 mesi di stagionatura), lo si lascia climatizzare a 22 gradi, si taglia a fette sottili e lo si appoggia su un tagliere di legno o su un piatto a 25 gradi di temperatura. Un canovaccio di lino bianco serve per coprirlo fino a quando si serve». Et voilà: «profumo, sapore e aroma di nebbia». Parla lentamente Massimo Spigaroli, spiegando ogni gesto con la precisione e la calma di un maestro di cerimonia giapponese.
Culatello, pane e un buon bicchiere di vino. Non serve altro. I «bassaioli» prediligono la Fortana del Taro, un vino abboccato e amabile che si concede con immediatezza. «È un vitigno autoctono, la cui origine pare sia stata rintracciata in Borgogna. Ci sono testimonianze della sua presenza in Val di Taro già nel 1400», spiega Luca Bergamaschi. Con la sua famiglia, da 110 anni produce bottiglie che custodiscono gli aromi e le essenze di una volta. «In quel ceppo originario sono stati fatti vari innesti per arrivare a quello che produciamo ora in queste terre forti e argillose». È il vino icona di Giovannino Guareschi che non solo citò nelle sue pagine, ma volle anche produrlo vinificandolo nelle Cantine Bergamaschi a Samboseto. Un vino allegro, fatto per stare insieme e condividere che ben rappresenta la sua gente: «gli uomini cosiddetti di poche parole si comportano spesso come le bottiglie di fortanella se le lasciate tranquille nel loro angoletto, col sedere dentro la sabbia fresca, si presentano come quelle che sono, umili bottiglie di un umilissimo vinello», scrisse. «Cavatele fuori dall’ombra e non appena avrete cominciato ad avvitare il cavatappi, vi troverete coinvolti in una specie di eruzione vulcanica lampo».
Pancia piena e cuore caldo, viene voglia di tergiversare tra osterie e cantine, far shopping alle boutique delle carni, prendere strade secondarie e pedalare lungo le ciclabili sopra e a ridosso degli argini. Due chiacchiere con chi ti viene incontro, una foto a una pieve, uno sguardo ai filari di pioppi, malinconiche sentinelle di questi paesaggi: è giusto concedersi il tempo di entrare tra le pieghe di questa terra dalle tante sfumature. Per poi riprendere l’auto in uno zig zag di curve strette, facendo tappa tra borghi medioevali, rocche e castelli difesi dall’acqua. Strade dove è bello perdersi, tanto la via si trova sempre. Basta dare un colpo di clacson davanti a una casa: qualcuno, con il sorriso sulle labbra, esce di certo ad aiutare.
Poche strade, case antiche, la chiesa a tre navate dei Santi Gervasio e Protasio in mattoni rossi, Zibello è un piccolo nucleo di fascino e storia in mezzo alla campagna. Il punto d’arrivo è la piazza con palazzo Pallavicino, che colpisce per sua infilata di portici rossa e maestosa. È sotto alle sue arcate La Boutique delle carni e dei salumi, da anni indirizzo di riferimento per ritrovare i vecchi sapori della Bassa, come la mariola: «I norcini della Bassa hanno imparato a trarre dal maiale tutto il meglio. La mariola si ottiene con le stessi parti che si utilizzano per fare il cotechino, ma con l'aggiunta di spezie», spiega Giulio Parenti, il proprietario. «Mantenere vive le tradizioni è un dovere».
Appena fuori dalla piazza è interessante una visita al museo “Il Cinematografo”, la collezione di attrezzature cinematografiche di Luciano Narducci all’interno di un grande convento del ‘500. C’è di tutto un po’. Ad esempio, il prassinoscopio, strumento ottico francese del 1827. A un paio di minuti d’auto dal centro, invece, La Buca di Zibello è il tempio del buon gusto al femminile. Il locale, dove Giovannino Guareschi era cliente fisso, è gestito da generazioni solo da donne: Romilda, Zaira, Elena e la mitica Miriam Leonardi, donna istrionica e volitiva. Oggi a prendere le redini è la figlia Laura: «Mia madre era un personaggio unico. Tempra forte e sorriso aperto era davvero figlia di queste terre». Nelle sale si respira ancora il passato e nel menu rimangono i grandi classici, come le tagliatelle con il culatello, lo stracotto di lingua con funghi porcini e l’anguilla. E, naturalmente, i salumi stagionati secondo l’antica tradizione nella cantina del ristorante.
Il Cinematografo: cell. 347 406 5078
Da Zibello a Soragna ci sono una quindicina di chilometri passando per San Secondo e Fontanellato. La Rocca Sanvitale, a Fontanellato, è la perfetta quinta teatrale per il Mercato dell’antiquariato, un appuntamento fisso di scena ogni terza domenica del mese. È atteso in tutta Italia dagli appassionati del genere (occhio agli oggetti esposti, tra tanti buoni affari c’è pure qualche fregatura). Entrando nella Rocca, la camera ottica incuriosisce i bambini. Da qui i castellani potevano osservare la vita della piazza grazie a un sofisticato sistema di lenti e prismi. Per tutti, invece, è un capolavoro l’affresco del Parmigianino dedicato all’amore di Diana e Attenone. Di nuovo in auto si raggiunge Soragna. La sua Rocca è un magnifico maniero del XVII secolo oggi residenza del principe Diofebo Meli Lupi. Nelle sue sale ci si perde tra mobili e arredi del primo Barocco padano e nelle peripezie del fantasma di corte donna Cinerina. Fuori, una coltre algida e nostalgica ammanta la campagna che “sembra di essere dentro a un bicchiere di acqua e anice”, cantava Paolo Conte. E i rumori arrivano prima delle sagome.
Nel cuore della Pianura Padana, l’Antica Corte Pallavicina è il tempio della buona cucina: nel castello che fu dei marchesi oggi c’è il ristorante gourmet dove Massimo Spigaroli esprime il suo talento seguendo la filosofia della cucina gastrofluviale. Accanto, l’Hostaria del Maiale con i piatti della tradizione, cantine e laboratorio dei salumi, il Museo del Culatello e le raffinate stanze del relais. Poco distante, a Zibello, si entra con rispetto per la tradizione a La Buca dove la cucina è da oltre un secolo apprezzata per la buona qualità. Di fronte c’è La locanda, con camere e suite silenziose e colorate.
L’escursione culinaria sul filo del buon gusto prosegue a Fontanelle di Roccabianca all’Hostaria da Ivan, un’antica residenza dei primi del ‘900, luogo privilegiato per la convivialità e per un esperienza singolare: la salumoterapia. S’inizia con un tovagliolo a coprire gli occhi e avvicinando il naso al piatto si respira il profumato effluvio. Dall’olfatto al tatto, fino allo zenit: il gusto.
A Soragna, invece, a un passo dalla rocca, si possono ordinare piatti tipici preparati ad arte alla Stella d’Oro . In un’elegante atmosfera familiare si può gustare un buon savarin di riso con lingua salmistrata e paste fresche. Non lontano, all’Osteria Ardenga di Diolo trionfa la cucina della bassa preparata con cura e buoni prodotti. Un secolo fa era la canonica della chiesa e dalle sue finestre si vede il campanile, sede del Centro del Boscaccio, il museo dedicato allo scrittore di Don Camillo.
A Roccabianca, l’Azienda Agricola Bre del Gallo unisce tradizione e genuinità nella produzione di salami, spalle, coppe, fiocchetti, pancette e culatelli. Ottimi acquisti anche da Croce e Delizia un laboratorio con cantina e punto vendita che ha alle spalle una lunga tradizione di norcineria. Alle Cantine Bergamaschi , a Samboseto, si fa scorta di Fortana del Taro e al Caseificio Pongennaro di Soragna, del gruppo Parma 2064, si acquista il Re dei formaggi. Forti di una cultura della qualità si producono forme di Parmigiano Reggiano premiato con 12 riconoscimenti, tra cui un Supergold al World Cheese Award.
Intenso, robusto, fidato. Come scrisse Alberto Savinio nel 1939, “il Parmigiano Reggiano rappresenta, tra i formaggi, ciò che il contrabbasso è nella famiglia degli strumenti”. Una sinfonia di piacere che da secoli incanta il mondo intero. Per conoscerne storia e tradizione vale una visita il Museo del Parmigiano nella Corte Castellazzi a Soragna un percorso tra oggetti e attrezzi antichi della lavorazione, vecchie fotografie e documenti che testimoniano come da otto secoli il parmigiano venga confezionato allo stesso modo.
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