Cibo da museo

di Silvia Ugolotti, testo e foto

 

Tutta la storia umana attesta che la felicità dell’uomo, peccatore affamato, da quando Eva mangiò il pomo, dipende molto dal pranzo”. 

Lord Byron


Se i libri nutrono, i musei sfamano la curiosità. Alcuni in particolare. Propongono assaggi, esibiscono ricette, vecchi utensili e documenti antichi. A volte prevale la ricostruzione storica, in altre la valenza antropologica, fatto è che i Musei del Cibo sono un patrimonio culturale: siamo quel che mangiamo. 

Se ne contano diversi nel nostro mondo foodizzato, dai più bizzarri a quelli didascalici, contenitori speciali che mettono in relazione il visitatore con la storia di un Paese. Parma ne ha inaugurati sette (l’ottavo in dirittura di arrivo in Appennino), un vero e proprio itinerario del buon gusto che si snoda in una cinquantina di chilometri dal Po alle colline, passando per la campagna. Un viaggio alla scoperta della food valley italiana tra sapori e saperi. 

“Simbolo di un’economia che funziona, i Musei del Cibo sono la perfetta sintesi di passato e futuro, antiche tradizioni e nuove tecnologie”: Mario Marini presidente dell’Associazione I Musei del Cibo della provincia di Parma, sottolinea con orgoglio come il circuito parmigiano sia unico (per numero di musei nello stesso territorio) a livello europeo. “Attraverso memorabilia, fotografie in bianco e nero, filmati storici questo circuito contribuisce alla custodia e alla diffusione dei nostri prodotti d’eccellenza, narrando una storia di bontà e maestria artigiana”. 

In campagna

Adesso Pasta

I nostri antenati chiamarono con-vivio lo stare insieme degli amici a banchetto. Mettersi a tavola comporta una comunione di vita, ancora di più davanti a un piatto di pasta: spaghetti, maccheroni, farfalle e linguine. Se i formati possibili sono infiniti, la qualità ha poche regole. Il piatto nazionale (ogni italiano consuma in media una trentina di chili di pasta all’anno) deve essere preparato ad arte, partendo dal fattore G, ovvero buon grano. Conta poi la mano del pastaio, che traduce il grano in pasta.

A Parma la tradizione esiste da quando le bisnonne delle nonne impararono a tirare la sfoglia, ma è nel 1910 che Barilla inaugura il suo stabilimento e dà il via a una produzione industriale su larga scala. Della storia di questa azienda e di molto altro si racconta al Museo della Pasta ospitato in un edificio d’epoca medioevale che un tempo fu centro di trasformazione agroalimentare. Il percorso si divide in dieci sezioni che vanno dalle tecniche agricole alla produzione di pasta fresca e secca. I macchinari sono originali e le trafile esibiscono oltre cento formati. 
La chicca: il più antico campione di pasta industriale datato 1837.
Corte di Giarola, strada Giarola 11, Collecchio

Non c’è pappa senza pomodoro

La Corte di Giarola fa il bis e accanto alla pasta ha allestito anche il Museo del Pomodoro.  Di origine americana, l’oro rosso ha trovato terreno fertile in provincia di Parma, già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. “La scoperta del pomodoro ha rappresentato, nella storia dell’alimentazione, quello che per lo sviluppo della coscienza sociale è stata la rivoluzione francese”, scrisse Luciano De Crescenzo. Cluster di produzione e trasformazione, dal territorio parmigiano si esportano in tutto il mondo i prodotti a base di pomodoro ma anche tecniche e tecnologia dell’industria conserviera. 

Tra le tante curiosità in mostra ci una raccolta di oltre cento scatole di latta dei primi del Novecento e una collezione storica di apriscatole.
La chicca: la Topolino pubblicitaria del 1954.
Corte di Giarola, strada Giarola 11, Collecchio

Già che sei in zona…PEDALA

Si parte dal centro di Collecchio lungo l’antica Statale della Cisa (direzione sud) per imboccare – appena usciti dal paese -  via Campirolo. È una strada secondaria circondata da campi coltivati, poche case e filari di alberi. Porta alla Corte di Giarola, ex complesso monastico che grazie ai continui restauri è diventato sede dei Musei del Cibo, del ristorante Corte di Giarola e della Casa del Parco Fluviale del Taro. 

Da qui, lungo strada Giarola,  ci si immette nella ciclabile che raggiunge Oppiano: la chiesa d’inizio Settecento era un punto di riferimento per i pellegrini che percorrevano la Via Francigena. Poco oltre, dalla frazione di Villanova si arriva a Ozzano Taro dove il paesaggio è un susseguirsi di colline morbide. Si ritorna sulla statale della Cisa per chiudere l’anello rientrando a Collecchio.  
In tutto sono una ventina di chilometri di andatura semplice da percorrere anche a piedi. 

In alto i calici

“Non c’è aroma più delizioso, non c’è nettare più allettante della Malvasia”, confessò Giuseppe Garibaldi dopo avere scoperto le qualità di questo vino durante un soggiorno a Maiatico, ospite della marchesa Teresa Araldi-Trecchi. La Malvasia è la regina dei colli del territorio parmense, un’eccellenza insieme al lambrusco e alla Fortana del Taro che s’imbottiglia nella Bassa. Di questo e di molto altro si narra nelle raffinate sale della Rocca Sanvitale a Sala Baganza dove è allestito il  Museo del Vino, un racconto dalla viticoltura alla vendemmia. La prima sala, preparata in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale, è dedicata all’archeologia del vino nel parmense, con oggetti e immagini provenienti dagli scavi del territorio. Reperti interessanti che testimoniano come il modo “moderno” di bere il vino, schietto e in bicchiere, sia nato proprio in questa zona introdotto dalle popolazioni celtiche. Indugiando, una sala dopo l’altra si arriva alla degustazione nei sotterranei della Rocca. 
La chicca: 1835 è l’annata del vino più antico esposto in mostra. 
Rocca Sanvitale, Piazza Gramsci - Sala Baganza

Già che sei in zona…FAI SHOPPING

Sono preziose le Ceramiche del Ferlaro nate dalla creatività della Marchesa Maria Giulia Carrega, donna sensuale e piena di interessi. Una passione che nel 1937 trasformò in un’importante attività manifatturiera. Oggi, nella tenuta che fu residenza di Maria Luigia, la tradizione continua grazie alla famiglia Alinovi che nel laboratorio accanto allo showroom continua a dar vita a opere di alto artigianato. 

Se nel laboratorio si modellano capolavori, nella sala espositiva regna un disordine apparente: centinaia di oggetti d’arredo rivelano raffinatezza dello stile e savoir faire. Una accanto all’altra sfilano basi per lampade, zuppiere, piatti, brocche e bicchieri che affascinano i visitatori e conquistano da sempre architetti e decoratori d’interni. Non a caso l'album dei ricordi della famiglia Alinovi annovera clienti illustri: da Pavarotti a Christian Dior, da Franco Zeffirelli a Franco Maria Ricci.
Ceramica del Ferlaro Strada Burbelles 4 Collecchio

Agli irti colli

Il piccolo principe

Il primo documento relativo al salame risale al 1436 quando Niccolò Piccinino, al soldo del Duca di Milano, ordinò che gli si procurassero “porchos viginti a carnibus pro sallamine”. Ovvero, venti maiali per fare salami. È custodito nelle antiche cantine settecentesche del Castello di Felino, sede del Museo del Salame, insieme a coltelli, mannaie e a una gabbia dei primi del ‘900 in cui veniva trasportato il maiale per la macellazione. Ci sono anche insaccatrici e macinini d’epoca per il sale, dipinti e testimonianze video a descrivere la storia di questo prodotto di eccellenza, un’opera di salumeria ben radicata nel territorio fin dal Medioevo. La sua più antica raffigurazione pare sia di Benedetto Antelami, una formella nel Battistero di Parma, che ritrae un uomo intento ad asciugare salumi e salsicce in una cucina medioevale.

Morbido, cilindrico, dal sapore delicato e dal profumo intenso, tra i salumi è considerato il Principe. L’impasto (composto per il 75% da carne magra e per il 25% da parti grasse) viene macinato, tritato e trafilato con l’aggiunta di sale: perfetto come antipasto.
La chicca: il tabarro del norcino è l’oggetto icona usato anche dagli uomini di campagna per proteggersi dal nebbioso freddo padano.
Castello di Felino, Strada del Castello 1, Felino

La casa del crudo 

All’interno dell’Ex Foro Boario, un’architettura rurale dei primi del Novecento è diventata il Museo del Prosciutto. È a Langhirano, regno di questo nobile salume nato da una terra giusta per allevare i maiali. Ma come si legge in una delle schede esplicative, “non tutti i prosciutti diventano il Parma”. Ciò che ne fa un capolavoro d’arte salumiera è un momento dall’allure magica. Succede quando il “puntatore” (l’uomo che fiuta il prosciutto) ficca uno speciale ago in cinque zone chiave del prosciutto per il controllo olfattivo. Se il sentore è perfetto significa che maturazione e stagionatura sono avvenute a regola d’arte e il marchio -  la corona ducale - è meritato.  

Il percorso museale è organizzato in otto sezioni che illustrano tutti i passaggi della produzione del prosciutto partendo dal territorio per arrivare alla gastronomia, ovvero l’impiego del prosciutto in cucina. 
La chicca: il filmato sull’estrazione del sale dai pozzi di Salsomaggiore
Ex foro Boario, via Bocchialini 7, Langhirano

Già che sei in zona… CAMMINA

Il Sentiero d’arte è una passeggiata tra arte e natura, un itinerario di sette chilometri segnato da nove installazioni di arte contemporanea. Parte dalla badia benedettina di Santa Maria della Neve (con un bellissimo chiostro rinascimentale e il belvedere settecentesco) per arrivare alle porte di Langhirano. In mezzo s’incontrano il borgo di Torrechiara e il suo scenografico castello che fu nido d’amore del condottiero Pier Maria Rossi e dell’amante Bianca Pellegrini. Tra passi lenti e respiri lunghi si apprezza il paesaggio, un susseguirsi di prati, boschi e vigneti, che in alcuni tratti costeggia il canale San Michele: molto bucolico e da perfetto click nei tramonti estivi.

Riverside

Alla corte del Re

“I miei migliori compagni di viaggio sono salami, culatelli, spalle cotte e il mio vino” diceva Giuseppe Verdi che grazie a Carlo, abile norcino (masalén, come si dice in zona) e bisnonno dei fratelli Spigaroli, poteva conservare in dispensa i salumi più buoni.

Sull’argine del Po all’interno dell’Antica Corte Pallavicina, il Museo del Culatello e del Masalén, allestito e curato dalla famiglia Spigaroli, è un omaggio al Re dei Salumi e al maiale che per secoli è stato di vitale importanza nell'economia e nella cultura contadina. Una creatura talmente legata all’uomo da essere scelta per evocarne vizi e virtù.

Tra nebbia, fiume e pioppeti che costeggiano gli argini, la terra del culatello si racconta nelle sale del museo mescolando alla storia la contemporaneità. Antichi utensili si affiancano a moderni touch screen, foto antiche a video, poi cartoline illustrate, libri, cartelloni pubblicitari e la visita alle spettacolari cantine dove riposa il culatello.

La chicca: Po Forest, l’estensione open air del museo è un percorso di 1,5 chilometri diviso in 12 tappe. Camminando si osservano il bosco e la golena, i maiali neri allo stato brado e la splendida architettura del castello che fu dei Pallavicino.
Antica Corte Pallavicina, strada Palazzo Due Torri 3, Polesine Parmense

       

Di grana fine

Entrando si rimane affascinati dall’ambiente, l’antico “casello” dei principi Meli Lupi. L’architettura del 1848 è circolare, con un colonnato interno unico nel suo genere. Nel percorso espositivo si contano oltre 120 oggetti che venivano utilizzati tra il 1800 e la prima metà del ‘900, come l’enorme calderone di rame dove si cuoceva il formaggio. Occhio al fake, per diffidare delle imitazioni di questo ambito formaggio c’è anche un capitolo che insegna a smascherare i falsi. Il Parmigiano Reggiano, quello vero, è un inno alla tradizione che solo le mani esperte del casaro possono produrre seguendo gesti e tecniche tramandate di generazione in generazione. 

Prima di uscire dal museo, vale la pena soddisfare il palato con bocconi di formaggio e miele nello shop per degustazioni e acquisti. “Senza di esso”, scrisse Eric Newbay, giornalista e scrittore di viaggi, “l’arte culinaria italiana non avrebbe la fama di cui gode”.
La chicca: una stampa del 1600 con la prima immagine ufficiale del Parmigiano.
Corte Castellazzi, via Volta 5, Soragna

Già che sei in zona…SIEDITI A TAVOLA

In piazza Garibaldi a Soragna due sale e un menu di salumi e ottime carni sono il segno distintivo della Locanda del Culatello. Taglieri, tovaglie a quadretti bianche e rosse, padelle di rame e salumi appesi alle pareti e sedie impagliate raccontano fin dall’ingresso l’intenzione di ricreare un’atmosfera di casa per servire la cucina del territorio. Oltre ai salumi, vale la pena ordinare filetto di maiale con salsa agli agrumi e tortelli di erbetta con pasta sottile e ripieno delicato. 
Piazza Garibaldi 12, Soragna; tel. 0524 506469

Il buon sonno

Corte Finzi

Circondato da uno splendido parco di alberi e viti, questa proprietà del XVII secolo ben ristrutturata dalla famiglia Finzi è regno di silenzio e eleganza. Le stanze per gli ospiti sono all’interno del casinetto settecentesco accanto alla villa padronale. Cura del dettaglio, buona accoglienza e corsi di cucina per imparare le ricette del territorio questo è il luogo di sosta ideale per un soggiorno nella "food valley" della Val Baganza.
Via Guglielmo Marconi 5, Sala Baganza; Tel 3387051930

La Locanda del Borgo

Un b&b fresco di restyling tra le mura antiche del Castello di Torrechiara. Stanze accoglienti e, della stessa proprietà, Servizio di e-biking e tour guidati sui colli in piazza Leoni. 
Strada del Castello 23, Torrechiara

Civico 75

Sulle colline di Noceto, in un punto panoramico sulla pianura, un casale in pietra e mattoni è stato ristrutturato seguendo i principi della bioedilizia. Gli arredi interni sono di artigiani e artisti locali: sono del padrone di casa, Robert Cross, le ceramiche grès. Nel suo atelier “Gabbiano Studio Pottery” organizza anche laboratori.
Per gli ospiti c’è un portico dove rilassarsi alla sera e fare colazione. Alcune bici sono a disposizione per passeggiate nella campagna.
Via Gabbiano 75, Noceto

ITA