di Silvia Ugolotti, testo e foto
Secondo i saggi toltechi dell’antico Messico, imparare a camminare è imparare a vivere. Si cammina sulla terra, dissociati dalla fretta e dal caos, orientandosi alla strada piuttosto che alla meta. Il modo più sovversivo per un contatto con la parte più profonda di sé.
Sono tanti i sentieri per scoprire le bellezze del territorio parmigiano, lunghi una settimana o qualche ora, da percorrere con la grinta dei veri sportivi o indugiando ad ogni curva come flâneur. Tra balze rocciose e campi di giunchiglie ecco i salti del Diavolo.
Distanza: 8 chilometri
Tempo medio di percorrenza: 3 ore
Punto di arrivo e di partenza: Chiastre di Ravarano, parcheggio La Baita
Quando: dalla primavera all’autunno
Per chi: è abituato a camminare
Vale la camminata: il dente del gigante
A furia di rifiuti e resistenze il diavolo s’innervosì. E prese a graffiare la roccia. Ma fu il simbolo religioso, che più di tutti lo spaventa, a indurlo alla fuga. Se ne andò a gambe levate di fronte alla piccola croce alzata da un eremita di Cassio. La leggenda narra che tra i monti e i boschi dell’Appennino sopra Calestano, Lucifero ce la mise tutta per tentare la preghiera e l’animo puro di un eremita. Vino, piatti squisiti, fanciulle bellissime. Nulla però servì a mettere in crisi la devozione dell’uomo che per difendersi dalle continue istigazioni mostrò la sua piccola croce. Vedendola il diavolo scappò correndo e saltando da un masso all’altro. I salti del diavolo, patrimonio naturale, sono pinnacoli di roccia composita, che non fanno parte del tipico paesaggio montano intorno a Parma. Di roccia antica 80 milioni di anni, spuntano come la cresta di un drago da boschi di faggio e cerro.
Il sentiero che da Chiastre di Ravarano sale lungo la via degli Scalpellini e attraversa il paese è un susseguirsi di bellezza. Ci sono poche case addossate le une alle altre, una piazzetta ordinata e come scrisse il poeta Silvio D’Arzo ricordando le terre appenniniche, “montagna quanta ne vuoi”.
La prima tappa di questo anello è il Dente del Gigante, una salita a strappo che si prende sorpassato il paese di Chiastre. È a sinistra subito dopo un lavatoio e sale nel bosco (è il sentiero 770 segnato dal Cai) per una mezz’ora. Di fronte al lavatoio c’è una bella maestà del XIX secolo. Qualche tornante, un pannello che racconta il lavoro degli scalpellini e poi il Dente. Si arriva proprio sotto alle sue pareti lisce e grigie, e da qui si ripercorre per un breve tratto il sentiero a ritroso per proseguire lungo la cresta di un sentiero stretto e in parte scalinato. Si attraversa una radura (bello lo scorcio sulla Val Baganza) e in discesa si raggiunge di nuovo Chiastre, vicino a una vecchia cava, dove si nota un’antica macina da mulino.
Si scende lungo la strada fino a tornare al lavatoio e poi alla piazzetta, dove su una parete si leggono i nomi degli Scalpellini di Chiastre. Il sentiero, infatti, ripercorre una parte del tracciato seguito, fino agli anni ‘50 dagli scalpellini per raggiungere i luoghi di estrazione della pietra lungo la dorsale. Ricercati ovunque per la loro maestria nella lavorazione della pietra, hanno prestato la loro opera anche per riparare il campanile del duomo di Parma.
Raggiunta la provinciale, la si attraversa e si continua lungo una strada carraia in discesa. Alla prima curva si intravedono altre curiose forme rocciose, questa volta è la testa dello “Squalo” ad ammiccare tra gli alberi. Si riprende la strada e al primo bivio si svolta a destra: da qui la prospettiva dei Salti è molto suggestiva. Ancora un piccolo sentiero e poi di nuovo la strada, fino al primo bivio. Si tiene la destra per raggiungere il greto del torrente Baganza con le massicce pareti di roccia a far da quinta teatrale. Una salita sulla destra porta all’antico Casino di Caccia dei Pallavicino e poi a un tratto pianeggiante fino al rientro.
Guida ambientale e escursionistica, fin da bambino ha subito il fascino per la montagna e la natura. Questa passione lo ha portato a vivere la montagna in molti modi: dall’alpinismo all’arrampicata libera, oltre che il trekking in ogni sua forma. La sua sfera d’azione spazia dagli Appennini alle Alpi. È Accompagnatore di Alpinismo Giovanile per la Sezione CAI di Parma e, dal 2013 fa parte del gruppo di guide professioniste Terre Emerse (terre-emerse.it). La loro filosofia di cammino? Lo slow walking, per apprezzare la montagna e tutto quello che sta intorno.
I salti del Diavolo sono uno strato di roccia conglomeratica formatasi circa 80 milioni di anni fa che si estende dal Monferrato all’Appennino modenese. Si tratta di antichi depositi ghiaiosi che costituivano una spiaggia. Il mare copriva gran parte dell’attuale Pianura Padana. Questa spiaggia è stata sepolta in epoche successive da spessi strati di argilla e le forti pressioni esercitate dal loro peso hanno cementificato le ghiaie trasformandole in un compatto strato di roccia conglomeratica.
È possibile trovare rocce dello stesso tipo in tutta l’Emilia Romagna; ma solo a Chiastre assumono l’aspetto spettacolare di ardite guglie, un allineamento lungo 5 chilometri di strette guglie e pareti rocciose che si elevano per decine di metri. Le spinte orogenetiche che hanno creato il nostro Appennino, hanno verticalizzato gli strati orizzontali. Una volta emersi oltre il livello del mare, sono stati sottoposti all’azione degli agenti atmosferici (acqua e vento) che hanno eroso la fragile argilla (chiamata mass ladin e utilizzata fin dal medioevo dagli scalpellini per realizzare sculture ed elementi architettonici: ad esempio, la lunetta della Pieve di Talignano e i portali della Pieve di Fornovo e del Duomo di Berceto) lasciando liberi i Salti del Diavolo di svettare solitari.
Letture nello zaino
“Guida naturalistica del parmense” di Angelo De Marchi
Contatti
347 7553053
giacomo.guidetti@terre-emerse.it
A metà strada tra Calestano e Berceto, il castello medioevale di Ravarano è su un colle a precipizio sul Baganza.
Il portale d'accesso si apre sull'unico lato facilmente accessibile, quello a monte, ed immette in un severo cortile con pozzo seicentesco che porta lo stemma dei Pallavicino.
Due corpi di fabbrica chiudono ai lati il cortile e si collegano a una torre quadrata dove un tempo c’erano le prigioni del feudo.
È il parmigiano reggiano biologico di montagna la specialità dell’Azienda Agricola Montagnana (montagnanabio.it). Latte d’altur, un buon foraggio, una lavorazione naturale e un’attenzione meticolosa ai dettagli sono le parole chiave di questa azienda: "Il prodotto offre buon aroma floreale, fruttato e di burro. Il sapore è un perfetto equilibrio di dolce e salato.”
Sulle pendici dei monti dell’Appennino emiliano, tra boschi e prati, Calestano è per tutti la patria del tartufo, un prodotto tipico della Val Baganza, che ogni anno viene celebrato con una festa autunnale. Grazie a qualità dell’aria e del terreno, il tartufo nero o tuber uncinatum che si trova in particolare nella zona di Fragno, piccolo borgo in pietra, viene raccolto dai primi di ottobre alla fine di dicembre. Ed è proprio questo il periodo in cui i ristoratori si sbizzarriscono con menu che ne esaltano il gusto e le proprietà.
A differenza del tartufo bianco, gustato solo a crudo, il tartufo nero di Fragno si utilizza in diverse ricette: dai risotti alle frittate e le piccate di vitello. Si può grattugiare su un piatto di tagliatelle al ragù di selvaggina, ottimo con i medaglioni di filetto o nel paté di fegato. Il suo profumo è gradevole, ha sentori di muffa buona, sa di muschio e sottobosco. Per assaggiarlo c’è la Locanda Mariella (0525 521026) a Fragno, osteria d’antan famosa per i suoi piatti e per la sua cantina da duemila etichette. Una delle migliori insegne di tradizione con divagazioni sul tema: ai fornelli c’è Jacopo Malpeli, un giovane chef che ha sposato a pieno la filosofia dei due patron, Guido e Mariella, ma che non disdegna la creatività.
Per due passi e un po’ di storia si torna a Calestano: case in pietra e strade lastricate, passaggi voltati, palazzi settecenteschi, piazze e antiche chiese il borgo medievale possiede scorci di antica bellezza ben conservata. Ci sono i portici di via Mazzini, che si aprono ai piedi di antiche abitazioni: l’irregolarità delle forme e le dimensioni non omogenee dei pilastri indicano l’utilizzo di tipologie architettoniche urbane in una località appenninica. Poi, Palazzo Coruzzi contraddistinto da un sorprendente e maestoso loggiato a tre ordini con capitelli dorici e pilastri quadrati e, infine, la chiesa di San Lorenzo: all’interno un fonte battesimale in marmo della seconda metà del 500 e un dipinto di scuola parmigiana del 1600.
Buon indirizzo per la notte è La Locanda del Vento, antico casale ristrutturato con gusto che si affaccia sul torrente Baganza. Intorno, boschi, prati e, naturalmente, il fruscio del vento.
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